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Alcuni significativi stralci inerenti le strutture:

LE SPECCHIE

I MENHIR

I DOLMEN

PAJARI

CAPPELLA SANTA MARIA DELLA NEVE

PALAZZO DELLANOS

CHIESA DELL'ANNUNZIATA

CHIESA DI M. SS. ADDOLORATA

LA PARROCCHIALE

 

STRALCI DESCRITTIVI DI AMBIENTI

O SITUAZIONI

 

TERMINI DIALETTALI CON DERIVAZIONI

 

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STRALCI DESCRITTIVI DI AMBIENTI O SITUAZIONI

 

GALUGNANO

 

Galugnano è un grappolo di case abbarbicato sulle pendici di un'altura dell'entroterra salentino a 11 Km. Da Lecce percorrendo la statale 16 che da Lecce conduce a Maglie.

Tipico entroterra della penisola salentina. Mare, "salò" per i Greci e perciò "Salentina", regione caratterizzata da serre impervie e amare, amare come il sale, ma che, come il sale al cibo, danno un tocco indispensabile per gustare appieno le bellezze del paesaggio offerto da una lingua di terra sdraiata tra le acque di due mari, scaldata da un sole sempre presente e prepotente, erosa da una tramontana frequente e arrogante, sotto un cielo insidiato da nuvolaglie intente ad impadronirsene; lotta vana la loro contro il soffio della tramontana che le costringe alla fuga o alla dispersione, ripristinando, con un azzurro intenso, il sereno per la serenità di volti scarni e rugosi che dalle serre scrutano il mare con occhi fissi e incantati per tuffi nelle acque dell'infinito.

 

"L'URU"

E' la messa in soffitta de "l'uru": incredibile, fantastico, inquietante e spaventoso gnometto.

In altre zone salentine viene chiamato "scazzamurieddhru", "monacieddhru", "lauru" o "laurieddhru", quest'ultimi due appellativi ci portano di filato ai "laures" dei latini, protettori della casa, o al monastero bizantino: "laura", in questo caso acquisterebbe più senso l'appellativo di "monacieddhru", piccolo monaco, ma la derivazione più attendibile penso sia quella dal latino uro-uris-ussi-ustum- urere: tormentare, mortificare.

  Quest'esserino, tanto simile a quelli innumerevoli e vari delle favole nordiche, ci viene tramandato piccolissimo e con un cappellino rosso molto più alto del suo intero corpo.

C'è chi asserisce che trattasi degli spiriti di bambini morti senza battesimo o di angeli caduti in disgrazia e condannati ad una strana convivenza con gli uomini.

Dispettoso e burlone, ma anche dannoso e irritante. Fa sparire irrimediabilmente gli oggetti più disparati, infastidisce gli animali domestici, sconvolge l'ordine precostituito dell'oggettistica quotidiana, nottetempo attorciglia i capelli delle donne e le criniere dei cavalli in treccine minute e intricatissime e, se irritato, si piazza sullo stomaco del malcapitato dormiente opprimendolo e  reprimendogli il respiro. Altro che protettore della casa. Sono ancora molti, fra gli anziani, che giurano di essere stati fatto segno delle sue attenzioni e, qualcuno, di averlo proprio visto.

 Si narra di una famiglia che, esasperata, pur di liberarsene stava traslocando. La nonnina, dietro al carretto delle masserizie con una scopa in mano chiedendo informazioni per sapere  dove andare per la nuova abitazione, prima che l'interpellato rispondesse si sentì dire: vai tranquilla che ti accompagno io. A parlare era stato "l'uru" accovacciato sulla scopa.

Pare che questa peste di "uru" non fosse visibile a tutti ma vai a farlo capire a chi sostiene l'assoluta sua inesistenza e che la sparizione o lo spostamento di oggetti è dovuto alla mancanza di memoria o all'arteriosclerosi di alcuni. Le treccine? Fantasticherie, casualità o il lavoro di particolari e rari insetti. Soffocamenti  o mancanza di respiro notturni? Stanchezza per una dura giornata di lavoro, indigestioni o alzate di gomito.

 

"LA QUAREMMA"

E' la fine di tradizioni che affondano radici nella notte dei tempi come l'esposizione su pali agli angoli delle strade, nei cortili, ma anche su balconi della "quaremma": vecchina vestita di nero, "cu lu maccaturu" (sorta di foulard rigorosamente nero", "cu la scialla" (con lo scialle) e "lu tamantile" (grembiule dalla vita in giù)  intenta a filare la lana "cu la cunucchia" (conocchia) e "lu fusu" (il fuso). Appesi alla vita sette taralli di farina d'orzo senza lievito  che vengono tolti uno per  settimana in attesa della Santa Pasqua, infatti la "quaremma" non rappresenta altri che la quaresima e viene esposta il giorno delle Sacre Ceneri, inizio del periodo quaresimale. Simbolo di penitenza e stenti è un miscuglio di sacro e profano che sembra collegarsi a Cloto, Atropo e Lachesi le Parche appartenenti alla cultura greco-romana; intenta la prima a filare lo stame della vita  e le altre due rappresentani le casualità della vita e l'ineluttabilità della morte le quali si rifacevano alle Mòire greche Nona, Decuma e Morta le quali presiedevano al destino dell'uomo dalla nascita alla morte; in paesi della grecìa salentina, come Sternatia, ancora oggi le "quaremme" si espongono in gruppi di tre e, come  un tempo le Parche e le Mòire, vengono date al rogo la sera  del Sabato Santo. 

Successivamente si radica nella tradizione la "Quaremma" come moglie di Carnevale, rappresentato da "Paulinu" (Paolino), fantoccio anche questo, dato al rogo l'ultimo giorno carnescialesco. Alla "Quaremma", rimasta vedova, non  resta che lavorare duramente vivendo miseramente di fame e stenti sino al Sabato Santo, giorno della sua fine. Ecco un esemplare di "quaremma" da me curato nel 2001 con la speranza che la tradizione sia ripristinata:

 

RITORNA LA FAME

Galugnano non  teme tanto la guerra in se stessa; è lontana. Dei combattimenti spietati o delle deportazioni giunge solo una tenue eco, e poi i bollettini di guerra parlano solo di vittorie.

Galugnano teme la fame, quella già ben nota della prima guerra mondiale. La teme e ne ha ben donde: le famiglie numerose, le braccia migliori in guerra.

D'inverno alla fame si aggiunge il freddo. La legna diventa bene prezioso, è introvabile. I pochi uomini rimasti lavorano dall'alba al tramonto, nei propri fazzoletti di terra, e in molti casi dire terra è un insulto poiché la roccia affiorante predomina. Raramente si ha l'opportunità di lavorare "a giornata" sotto "il Padrone"; poco importa se la remunerazione consiste in un paio di chili di fave secche, o piselli, o ceci; quel che conta è che, arando la terra, nei momenti in cui il "padrone" è assente, passando sotto gli alberi d'olivo, in punti prescelti si affonda al massimo il vomere tanto da consentire l'asportazione di radici a fior di terra: nascoste e recuperate notte tempo garantiscono l'indispensabile fuoco per la cucina, per riscaldare le ossa reumatizzate dallo scirocco umidiccio e penetrante e le carni intirizzite dalla tramontana pungente, debilitate dalla fame, mortificate dall'impossibilità di sfamare i propri cari.

In campagna, tutti in campagna. E' l'unica fonte di sostentamento. Ogni famiglia ha la sua capretta, la sua pecora; riunite in gruppi di una decina sono portate al pascolo da bambini che dovrebbero per la prima volta conoscere un'aula scolastica e che la fame fa diventare precocemente scaltri: giunta una certa ora, quando lo stomaco fa contorcere per i crampi della fame, ogni riparo è buono per mungere le pecore dei vicini; se non si ha un recipiente direttamente in bocca e quando si ha un recipiente allora il munto viene trasformato in un improbabile formaggio prodotto sostituendo al caglio la resina ottenuta dall'albero di fico. E però occorre non esagerare: a sera, restituite le pecore ai proprietari, nell'ovile il mungitore sa perfettamente quanto latte produce la sua pecora e se le aspettative vengono spesso deluse è il pastore a pagare le conseguenze, sempre esageratamente, ed allora per il bambino pastore l'unico certo rifugio è sempre lei: la mamma.

 

 

LA MAMMA

 

 Lei sì che sa tutto; sedutasi ha sempre la forza di prenderlo sulle ginocchia, di poggiargli la testa sulle spalle, di accarezzargli i capelli guardando altrove, piegando la testa per evitare che una lacrima non repressa cada sulla manina che le stà rovistando fra le labbra.

La mamma vorrebbe.Ma non può fare di più. Esausta si butta sul materasso di paglia non prima della mezzanotte, dopo una giornata cadenzata dalla disperata ricerca di cibo: verdure selvatiche, raccolta di spighe sfuggite al mietitore o di olive al raccoglitore, di fichi secchi a loro tempo caduti dall'albero e mai raccolti, di lumache.e di fuoco: sterpaglie, rovi e cardi selvatici legati in fascina, caricati sulla schiena e controbilanciati da un sacchetto a tracolla e pendente sul davanti pieno del cibo che la stagione gli ha consentito trovare.

Tutti dormono quando lei appronta la cucina per il giorno dopo, risciacqua gli ultimi panni,  rammenda il vestiario, rattoppa i pantaloni dell'anziano padre eternamente bucati dalla parte del sedere, fallisce l'ultimo suo prefissato e puntuale impegno perché colta dal sonno: lavorare un paio di ferri per una sciarpa di lana a quel suo figlioletto raggomitolato sotto le coperte irrobustite da un indecoroso cappotto del nonno e sognante fragrante pane caldo e bianco, piatti fumanti e pazze corse e giochi e litigi e baruffe con i coetanei quanto lui vittime di : " Ascolta - Ubbidisci - Combatti ".

Sì il sonno l'ha presa ancora una volta su quella sciarpa e non è ancora profondo quando un nuovo giorno stà per cominciare ed occorre saltar giù dal letto.

 

VITA IN PAESE

Per i più, i lavoratori della terra, i tempi sono duri, durissimi sino a metà secolo. L'atavica fame si accompagna a lavoro durissimo, tutto è affidato alle proprie braccia ed alla clemenza della stagione agricola.

Ogni famiglia ha le sue due brave pecorelle, il maialetto ed un numero variabile di galline. Le pecore vengono portate al pascolo da improbabili pastorelli raggruppate in numero idoneo alle capacità degli stessi, maiali e galline "pascolano" liberamente per le strade del paese, a sera disciplinatamente e spontaneamente rientrano nei cortili o negli ortali retrostanti le abitazioni dei legittimi proprietari.

Le abitazioni! Per lo più una stanza e cucina; il bagno, o meglio fossa alla turca, nell'ortale affianco ad una traballante stalla ove trova ricovero l'immancabile asinello dopo un duro giorno di lavoro, condiviso col suo padrone, e dopo aver attraversato incurante e ignaro stanza e cucina, depositando sul pavimento ultime zolle di terra trattenute dagli zoccoli e fili di paglia o d'erba rubati alla soma in momenti di disattenzione del padrone e cadutigli dalla bocca per la fretta messagli dallo stesso.

Case ad "imbraci", pavimenti in lastricato di pietra leccese, strade dissestate, polverose o limacciose, impervie, con rocce affioranti e sassose; animatissime sino ad alba inoltrata, poi le presenze si diradano, spariscono. Avvolte da un silenzio sempre più ovattato rotto di tanto in tanto dall'abbaiare di un cane, dal cigolio dei carri degli ambulanti e dalle loro grida: " Oliiio, petrolio, spirito (alcool), flitti (DDT), creeeeeeemaaa!!", " Uliiiiie, ci teeeene uliiieee!! (olive, chi ha olive!!)" , " uva, com'è dolce l'uuuuuva!!". Non sono molte le massaie che socchiudono la porta, si avvicinano al venditore, non prima però di aver salutato il raccoglitore di letame impaziente di riempire il suo paniere di escrementi di mucche e cavalli depositati in strada da vuotare nel letamaio di famiglia indispensabile per concimare terreni rocciosi e scarsamente produttivi, "amari", a detta del nonno ormai malfermo sulle gambe, seduto su uno spuntone di roccia con la pipa ospitante residui di tabacco provenienti da cicche di sigarette risparmiate a tal bisogna o raccolte per strada, gettate dai pochi benestanti dimentichi di miserie e stenti. Lui è sempre, tutti i giorni lì, a guardare tutt'intorno ciò che non succede, a riempire i vuoti con i suoi silenzi urlanti ricordi di vita in cui la speranza è una costante. Il suo abbassar lo sguardo, quando e se lo abbassa, non è resa ma attesa, non più del domani ma della sera, per godere ancora di un camino acceso, di un piatto fumante su un tavolo circondato da figli stanchi ma non domi, pensierosi ma non tristi, affamati eppur felici; da nipotini ignari del sudore che bagna quel pane, sorridenti, esibizionisti per attirare l'attenzione della mamma intenta a servire il "cucinato" con lo sguardo assente poiché operante già nel dopo.

 

IL NATALE

L'attesa più grande è per le "mangiate" natalizie.

Mamma perché c'è un solo Natale?

Perché si nasce una sola volta ed a Natale è nato Gesù Bambino.

Mamma perché la carne si mangia solo quando è festa?

Perché.Sbrigati, mettiti il grembiule e scappa a scuola. Se torna tuo padre ti porta con lui in campagna.

E si va a scuola, quando si va. Ma la mente è sempre rivolta all'impellente Natale, al presepe.

Oh! Il presepe. Quanto fascino, come fanno volare la fantasia i suoi personaggi: la natività, i re magi, i pastori e poi: "la picia", "frantoni" e "li 'zzampugnari", quest'ultimi sono i suonatori di zampogna. "La picia" è una vecchietta infreddolita seduta in una grotta con su le gambe un braciere, proprio così: un braciere sulle gambe. Simbolo di estrema povertà e di abbandono che tanto la accomunano a Gesù bambino. "Frantoni", meglio sarebbe "fra 'Ntoni" (fratello Antonio), è un monaco laico intento al lavoro dei campi in compagnia di pecore, agnellini e caprette. Con l'arrivo del benessere si aggiungono altri personaggi e fra questi anche il macellaio, impensabile ai tempi della "picia" e "fra 'Ntoni" quando non manca solo la carne, manca anche l'acqua.

 

PECCARISI GIUSEPPE (LU 'CCI'PPI')

 

Ed a conclusione un personaggio popolarissimo, tipico di un'epoca, Peccarisi Giuseppe, per tutti "Ccìppì". Trattasi dell'ultimo degli spazzini, oggi operatori ecologici, ma il "nostro", in servizio sino al 1975, non si limita solo a spazzare, a ramazzare le strade ma anche a pulirle dalle erbacce spontanee e rigogliose ai loro lati, e non solo.

E si! Sono i tempi in cui la spazzatura prodotta, non che se ne produca molta, in casa non si consegna allo spazzino, è un bene prezioso, trattasi al 90% di rifiuti biodegradabili che si scaricano nel letamaio di famiglia, vera e propria concimaia, alla bisogna. Il restante 10% lo si abbandona nei posti più disparati, sventuratamente.

"Ccìppì" fa parte del paesaggio galugnanese. Quando le strade son deserte appare lui, piccolo, minuto, offeso ad una gamba e vistosamente claudicante, là in fondo alla strada col suo inseparabile e fido cassonetto ambulante.

Il cassonetto! Un parallelepipedo su due ruote di bicicletta munito di stanghe che consentono a Giuseppe di spingerlo e, quando sovraccarico, di sparire dietro di esso poiché costretto a incurvarsi per lo sforzo, tanto che a incontrarlo frontalmente si ha l'impressione che il cassonetto cammini da solo, spinto dal vento, anche quando vento non c'è. A vederselo sfilare affianco si ha netta l'impressione che siano le stanghe a sorreggere Giuseppe.Ma non è così. Ai lati del cassonetto, grazie a intelligenti supporti, trovano incredibilmente posto la lunga scopa, "la cardarina" (tipico recipiente usato dai muratori come contenitore della malta e da Giuseppe per la spazzatura), una capace, robusta e ben squadrata lamiera in sostituzione della paletta e la classica "sarchiugghra" (sorta di zappetta usata dai contadini per pulire dalle erbacce le piante già grandi e da Giuseppe per le erbacce ai lati delle strade).

"Ccìppì" è l'emblema di un'epoca galugnanese a cavallo tra l'immediato dopoguerra e l'avvento degli anni 80 portatori e/o consolidatori sì di sviluppo ma anche antesignani del degrado e dello sfaldamento del mondo della politica successo al ventennio fascista.

 

 

  L'architettura dell'opera ben si evince dall'indice:

Pag.

Introduzione

5

Premessa

7

Jesus Maria - 1591 -

9

Capitolo Primo - La preistoria

11

Capitolo Secondo - Dalla preistoria alla fine del Medioevo

31

Capitolo Terzo - Il Cinquecento

73

Capitolo Quarto - Il Seicento

113

Capitolo Quinto - Il Settecento

143

Capitolo Sesto - L'Ottocento

173

Capitolo Settimo - Il Novecento

253

Capitolo Ottavo (Appendice finale) - Il dialetto galugnanese. Usi e costumi...  

403

Conclusioni

451

Bibliografia

453